Wednesday, May 26, 2010

8 X MILLE

Oggi abbiamo firmato per la dichiarazione delle tasse:

8 per mille ai Valdesi (in questa pagina i loro criteri)

5 per mille a Emergency (codice 97147110155, firma nel riquadro sul sostegno al volontariato).

Sunday, May 23, 2010

23 Maggio 1992

Scritta il giorno dopo, allibita.. impaurita.. incazzata.. avevo 19 anni.
Oggi come allora, allibita.. impaurita.. incazzata.

"Un buco dentro alla terra,
una ferita che brucia su una madre
tradita.
Dal baratro cinque voci si sono unite alle centiaia che
gridano
urlano
condannano
implorano:
COMBATTI!
La mia rabbia vive per voi.
Voi nella mia rabbia."

Sunday, May 02, 2010

..ma cosa e' www.sitedossier.com??
..chi lo usa me lo puo' spiegare??

Saturday, May 01, 2010

La febbre di Sofia ed Emergency

Sofia ha la febbre alta da due giorni e siamo sole a Trento.
Ho avuto una mezz'ora di sbandamento e preoccupazione.. poi Sofia si e' addormentata e, dopo aver messo in ordine in casa e nei miei pensieri ho ritrovato un foglio in cui avevo stampato un estratto da "Pappagalli Verdi" di Gino Strada. ..e le ansie e le preoccupazioni hanno ripreso il loro posto del cassetto dei problemi risolvibili..
E' vero che non tutti possono essere Gino Strada.. non tutti han la forza di rivoluzionare la propria esistenza nel servizio per gli altri.. spero di riuscire ad insegnare a Sofia che per essere "rivoluzionari" basta vivere la propria esistenza nel rispetto dell'altro, nella ricerca dell'altro.. nell'incontro dell'altro..

..a voi regalo le parole che mi han fatto riflettere su cio' che si passa ai propri figli..

"Mia figlia Cecilia aveva nove anni, quando è venuta a trovarmi a Quetta, vicino al confine afgano. La mamma l'aveva scoperta con un paio di mie foto sotto il cuscino. "Le tiene lì come fossero dei santini" - mi disse Teresa al telefono - probabilmente non capisce perché sei così spesso lontano da lei. Abbiamo deciso, veniamo a trovarti, saremo lì tra quattro giorni."
E io sono andato in crisi, ancora una volta. Con la testa che si affolla di pensieri e vecchi ricordi. Di me e cecilia che passavamo giornate interminabili a costruire case e giocare coi trenini sulla moquette marrone di camera sua. Noi due a gironzolare a quattro zampe per casa, a inventarci ogni giorni un nuovo "gioco degli animali" con tutte le possibili varianti, a fare gli orsi a caccia di salmoni nel torrente che scorreva a fianco del lettone della mia camera. E poi su su, fino ai tempi dell'asilo comunale, l'ineguagliabile asilo di Gabri e Mara che mi facevano vedere mia figlia crescere di giorno in giorni… Ho passato con Cecilia secoli di felicità, e a chi recitava la litania "goditela adesso, perché quando crescerà cominceranno i problemi" ho sempre risposto: "stronzate, Cecilia è Cecilia".
Ma forse ho esagerato, nella mia presuntuosa convinzione che il gioco fosse fatto, forse ho creduto che quegli anni spesi insieme potessero essere un investimento per la vita, forse ho preteso che una bambina di nove anni capisse un padre che sta via mesi e torna solo per cambiare le valigie. E mi ha preso l'angoscia, che è molto peggio della paura che a volte capita di provare in situazioni di guerra. L'angoscia di averla persa, di averla ferita, di aver rotto quel rapporto che era la cosa più bella che avessi costruito in quarant'anni. Avevo bisogno di Cecilia, subito…
Forse ero ancora in tempo, forse l'incantesimo non era ancora svanito, ma sentivo di dover fare in fretta.
Sono andato a prenderle a Karachi, in Pakistan. Lei e Teresa dovevano arrivare con un volo notturno che ha ritardato quattro ore e che mi ha fatto ricominciare a fumare per altri dieci anni, dopo che avevo smesso da mesi. E Cecilia, ancora una volta, è stata quella bambina forte, geniale, schiva generosa che da sempre conoscevo. E' venuta a Quetta con me, un atterraggio un po' così su una pista ghiacciata mentre lei spiegava alla mamma che tutto sarebbe andato per il meglio.
Quella sera mi hanno chiamato in ospedale poco prima di mezzanotte. Non ho fatto in tempo a posare il telefono, che Cecilia era già sveglia, ed è bastato uno sguardo per capire che sarebbe venuta anche lei. Così è finita che ci siamo andati tutti in ospedale, con Teresa a chiedermi se non sarebbe stata un'emozione troppo forte… Erano in cinque, stesi sulle brande nella grande sala dove si raccolgono i feriti. Li stavano lavando con stracci bagnati, per togliere la polvere che si deposita addosso quando bisogna viaggiare a lungo, per sentieri di montagna, perché qualcuno ti possa curare. Feriti del conflitto afgano, tre di loro bambini. Uno poteva avere gli anni di Cecilia, col cervello che gli colava sulla guancia. Accanto a loro, madri vestire di nero avvolte nei larghi chador.
Ho visto Teresa uscire da quella stanza inorridita e con gli occhi lucidi, ma Cecilia è rimasta. Ha voluto persino venire in sala operatoria, vi è stata per ore a guardare quegli strazi, a cercare di farsi una ragione nel suo cuore grande grande, a sforzarsi di giustificare suo padre che non stava più a giocare coi trenini o a seguire i suoi progressi a scuola. Ancora una volta ho ricevuto da Cecilia una grande lezione. Avrei potuto, e dovuto, cercare di spiegarle il perché delle mie partenze e delle mie assenze. Forse non avrebbe avuto bisogno delle mie foto sotto il cuscino. Ma non l'avevo fatto, e allora è venuta lei da me, per capire e per farmi capire che non potevo tenerla fuori dal gioco. Era cresciuta, più di quanto potessi immaginare, non era più solo il mio cucciolo di orso né il mio pulcino. Era anche, e soprattutto, una bambina con il diritto di conoscere e di giudicare le mie scelte, le scelte di suo papà. Siamo usciti dalla sala operatoria, Cecilia era sveglissima, come sempre di fronte a qualcosa che le interessa.
Abbiamo trovato Teresa ad aspettarci nella sala buia dove si beve il tè e ci si riposa tra un intervento e l'altro. Chissà perché portava gli occhiali da sole, mentre camminavamo per l'ospedale illuminato dalle tante stelle dell'inverno afgano. Ci siamo avviati verso la macchina. Rahman, uno dei bambini feriti che avevamo finito di operare mezz'ora prima, camminava davanti a noi avvolto in una coperta e accompagnato da un infermiere che reggeva la bottiglia della flebo e lo scortava verso la sua tenda. Una grande fasciatura bianca gli copriva il braccio sinistro. Avevamo dovuto amputarlo sopra il polso, la mano spappolata da una piccola mina, una PFM-1 di fabbricazione russa. Camminava in silenzio, senza un lamento.
"Ma è quel bambino che era in sala operatoria" ha esclamato Cecilia. "Perché non piange?"
Ne abbiamo ragionato a lungo, abbiamo cercato di capire perché i bambini, quei bambini, non piangono. Mi ha sollecitato a parlare della miseria che si fa routine, della presenza silenziosa della tragedia, e a volte della morte, che diventa condizione di vita. Forse è questa quotidianità della tragedia che li prepara a non piangere. Abbiamo parlato di quei bambini, e di quelli che da noi si rotolano istericamente per terra per non cambiare il cerotto dell'ultima spellatura sul ginocchio. Non ci siamo detti nulla il giorno dopo, c'è un linguaggio muto e segreto tra noi. Ma ci siamo sentiti più insieme, siamo perfino tornati a essere la "famiglia orsi". E sono spariti i "santini" da sotto il cuscino.
Cecilia ha oggi vent'anni. A volte mi dice che "da grande" vorrebbe venire in giro con me. Io non glielo ho mai suggerito. Sarebbe forse un po' folle, ma stupendo. Forse potrei ridarle parte del tempo che le ho rubato."
GINO STRADA, da Pappagalli verdi, Universale Economica Feltrinelli, 2001

RICORDI.....

Era d'estate

Ero nuda tra le sue mani
Sotto la gonna alzata
Nuda come non mai
Il mio giovane corpo
Era tutto una festa
dalla punta dei miei piedi
Ai capelli sulla testa
Ero come una sorgente
Che guidava la bacchetta
Del rabdomante
Noi facevamo il male
Il male era fatto bene


Jacques Prevert